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Da quando è iniziato il Covid-19, nel 2019, la Cina è stata teatro dei lockdown più brutali e distopici del mondo, con decine di milioni di persone rinchiuse in casa per intere settimane, private delle cose più essenziali e soggette alla costante repressione della polizia. È stata anche teatro del più impressionante dispiegamento di risorse per la lotta contro il virus: la produzione di attrezzature sanitarie è stata enormemente accelerata, sono stati costruiti interi ospedali in pochi giorni e migliaia di operatori sanitari sono stati trasferiti nelle aree di crisi.

Questo evidenzia la natura profondamente contraddittoria della Cina, che non è uno Stato capitalista ma uno Stato operaio deformato. Da un lato, lo Stato continua a basarsi sulle conquiste della Rivoluzione del 1949, che liberò il Paese dall’imperialismo e istituì un’economia pianificata. Dall’altro, il Paese è governato da una casta burocratica guidata dal Partito comunista cinese (Pcc), che opprime la classe operaia e mina quelle conquiste. Di fronte alla costante escalation di minacce militari ed economiche da parte degli Usa e dei loro alleati, ma anche alle contraddizioni interne che stanno portando il Paese al punto di ebollizione, è più che mai importante che i marxisti abbiano una comprensione corretta della Cina e si battano per un programma nella pandemia che faccia progredire la causa degli operai cinesi e dell’intera classe operaia internazionale.

Fino ad ora la sinistra marxista ha mancato completamente al suo compito. Nel periodo iniziale della pandemia, la politica di “Covid zero” promossa dal Pcc, con i suoi lockdown stringenti, i divieti di spostamento e i tamponi di massa è stata considerata un esempio dall’intera sinistra, a partire dagli stalinisti fino ai socialdemocratici e ai sedicenti trotskisti. Dato che le classi capitaliste decadenti di tutto il mondo si dimostravano assolutamente incapaci di fare le cose in modo corretto, la burocrazia cinese è stata osannata ovunque come un esempio da seguire. La Lega comunista internazionale non ha fatto eccezione e vale la pena in questo senso citare per esteso quello che abbiamo scritto in “La Cina si mobilita per frenare il coronavirus”:

“Nonostante l’inerzia burocratica iniziale e i veri e propri insabbiamenti, Pechino ha poi fatto sforzi titanici per contenere il virus con le quarantene, il lockdown di una regione di 60 milioni di abitanti, severe limitazioni agli spostamenti e la chiusura di fabbriche e scuole in gran parte del Paese.

Il governo cinese ha anche stanziato notevoli risorse mediche e di altro tipo per contrastare la malattia. Sembra che queste misure abbiano avuto un certo successo e il numero di nuovi casi nel Paese ha iniziato a diminuire. Il capo delegazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che ha visitato Wuhan e altre città della Cina ha lodato ‘l’approccio inclusivo dell’intero governo e dell’intera società’ come forse ‘il più ambizioso e flessibile’ di tutti i tempi (…)

Le misure prese dalla Cina nella lotta al Covid-19, per quanto tardive, sono necessarie e vitali.”
(Workers Vanguard n.1171, 6 marzo 2020)

Queste righe costituiscono un’approvazione acritica delle politiche del Pcc. Acritica, perché le uniche obiezioni nei confronti della burocrazia riguardavano il fatto che le sue misure erano state “tardive”, sulla scia di tentativi di insabbiamento, ma quando “Pechino” (il governo centrale) si è finalmente mosso, le nostre obiezioni sono scomparse. L’articolo si affidava peraltro in modo grottesco all’Oms, braccio degli imperialisti dell’Onu, per cantar le lodi del Pcc. Ripudiamo questo articolo, che è stato un tradimento dei principi del trotskismo.

I Paesi capitalisti adesso hanno abbandonato i lockdown adottando una strategia di “convivenza col virus”. Il Pcc invece si aggrappa alla sua strategia reazionaria di “Covid zero”. Questo sta provocando l’ira delle potenze imperialiste, la cui crescita economica ne risente. La maggioranza della sinistra “socialista” a scala internazionale, di conseguenza, ha fatto una svolta di 180 gradi e condanna le scelte della Cina, oppure tace semplicemente sull’argomento. Ma per molti falsi socialisti in tutto il mondo la situazione è oltremodo imbarazzante perché il Pcc sta mettendo in pratica quello che loro stessi hanno invocato per più di due anni e mezzo: dei lockdown duri e prolungati fino all’azzeramento dei casi.

Dall’aprile del 2021, noi della Lci abbiamo spiegato chiaramente perché il proletariato nei Paesi capitalisti deve opporsi ai lockdown, perché i suoi interessi si scontrano ad ogni passo con la classe dominante borghese e perché la risposta dei capitalisti alla pandemia è contrapposta a qualsiasi lotta progressista della classe operaia per migliorare le proprie condizioni di vita (si veda a pagina 5: “Abbasso i lockdown!”). Ora applichiamo lo stesso approccio alla Cina. La principale tesi addotta a sostegno dei lockdown cinesi, anche nella nostra organizzazione, è stata che siccome la Cina non è uno Stato capitalista, i suoi lockdown hanno una natura più progressista rispetto a quelli dei capitalisti. È vero che il nucleo collettivista dell’economia consente alla Cina di affrontare la minaccia del Covid-19 dispiegando risorse su di una scala che è impensabile in qualsiasi Paese capitalista. Queste risorse però non vengono usate negli interessi della classe operaia, ma secondo quelli della casta burocratica privilegiata che governa la Repubblica popolare cinese (Rpc) sin dalla sua fondazione. Questa burocrazia condivide essenzialmente la stessa natura di quella che governò l’Unione Sovietica a partire dal 1924 e la cui miglior analisi fu data da Leon Trotsky, il quale spiegava:

“La burocrazia non è una classe dominante. Ma lo sviluppo ulteriore del regime burocratico potrebbe portare alla comparsa di una nuova classe dominante: non organicamente, attraverso la degenerazione, bensì mediante una controrivoluzione. Noi definiamo centrista l’apparato staliniano proprio perché esso svolge un duplice ruolo: oggi che non c’è più una direzione marxista, e non se ne sta ancora delineando nessuna, essa difende la dittatura proletaria con i propri metodi; ma questi metodi sono tali da facilitare la vittoria del nemico domani. Chi non capisce questo duplice ruolo dello stalinismo in Urss non ha capito nulla.” (“La natura di classe dello Stato sovietico”, ottobre 1933)

Le radici sociali della burocrazia affondano nell’arretratezza e nella povertà materiale di uno Stato operaio isolato. Poiché lo sviluppo delle forze produttive è troppo basso per garantire a ciascuno ciò di cui ha bisogno, la burocrazia trae il suo potere dal ruolo di arbitro che, nella miseria, decide a chi vengono assegnati o no i beni. Contrariamente ad una classe dominante capitalista, il cui potere si basa sulla proprietà dei mezzi di produzione, la burocrazia esiste come parassita che vive delle forme di proprietà collettivistiche, posizione che la rende instabile e precaria. Si trova presa tra due forze gigantesche: da una parte l’enorme proletariato cinese, che è necessariamente ostile ai privilegi della cricca dominante, dall’altra l’imperialismo mondiale, il cui obiettivo è il rovesciamento definitivo delle conquiste della Rivoluzione del 1949 (e del Pcc) per saccheggiare la Cina.

Per mantenere la propria posizione di privilegio, la burocrazia è costretta a mantenersi in equilibrio tra forze contrapposte. Con una mano difende la proprietà statale “solo nella misura in cui teme il proletariato” (Trotsky). Con l’altra cerca di tener buono l’imperialismo mondiale a suon di concessioni, sperando in un’illusoria “coesistenza pacifica”. L’obiettivo principale della burocrazia è sempre quello di sopravvivere a questa contraddizione per mantenere la propria posizione privilegiata, un compito particolarmente difficile in periodi di crisi sociale acuta, come la pandemia.

L’approccio trotskista alla pandemia in Cina parte dalla difesa incondizionata delle forme di proprietà collettivizzate dalle minacce controrivoluzionarie interne ed esterne. Si basa anche sulla comprensione del fatto che il dominio della burocrazia del Pcc, opprimendo il proletariato, stimolando disuguaglianze e rifiutando la rivoluzione internazionale, alimenta le minacce sociali, economiche, politiche e militari allo Stato operaio. Nel momento in cui, dal terreno preparato dalla burocrazia, sorge una crisi, il Pcc risponde con metodi miopi e brutali che a loro volta gettano il seme della crisi successiva. Perciò la difesa trotskista dello Stato operaio, nel contesto di una pandemia, di una guerra o di ogni altra crisi, non si basa sull’appoggio alle politiche della burocrazia, ma sulla lotta per rovesciare la cricca antisocialista burocratica del Pcc con una rivoluzione politica proletaria e nel sostituire al suo dominio quello dei consigli operai guidati da un partito rivoluzionario genuinamente leninista. Questa prospettiva è evidentemente incompatibile con l’appoggio alle politiche di “Covid zero dinamico” del Pcc, sconsiderate e antiproletarie.

Le cause sociali della pandemia

La crisi sociale innescata in Cina dal Covid-19 ha le sue radici nel bisogno generale, nell’oppressione e nella barbarie generate dall’imperialismo mondiale in decadenza che come in ogni altro Paese, traggono la specifica fisionomia nazionale dalle condizioni economiche e sociali interne. Prima di esaltare gli “sforzi titanici” di Pechino in risposta allo scoppio del Covid-19, coloro che si ritengono socialisti dovrebbero forse riflettere sulle condizioni sociali alla base della crisi attuale. Negli ultimi decenni, le condizioni sociali e di vita in Cina sono enormemente migliorate, grazie alle conquiste della Rivoluzione del 1949. Ma il dominio della burocrazia ha fatto sì che la crescita di produttività e ricchezza sia finita in gran parte nelle sue mani e in quelle della classe capitalista interna. Questo limita e mina il progresso sociale e ha gettato le basi della crisi attuale.

Fin dall’inizio la burocrazia ha sostenuto esplicitamente che i lockdown fossero l’unica opzione date le precarie condizioni del sistema sanitario. Per decenni, la Rpc ha amministrato un sistema di assistenza sanitaria universale e gratuita in condizioni di “miseria socializzata”. Ma le riforme di mercato, perseguite per decenni dai successivi dirigenti del Pcc, hanno privatizzato e affamato l’assistenza sanitaria. Anche se la burocrazia sostiene che il 95 percento dei cittadini sono coperti da assicurazioni mediche, è un inganno: per centinaia di milioni di operai e contadini cinesi, farsi visitare da un medico o ottenere cure mediche di base è un incubo costosissimo o è del tutto impossibile. I vari schemi assicurativi coprono solo una minima parte delle spese ed è frequente che le famiglie debbano consumare tutti i risparmi di una vita per le cure.

Nelle campagne, in molte regioni non ci sono le infrastrutture sanitarie essenziali e l’odiato sistema del hukou, il certificato di residenza familiare, fa sì che la stragrande maggioranza degli operai migranti nelle città non possano ricevere quasi nessuna cura nelle località dove lavorano. In Cina ci sono pochissimi medici (nel 2017 ce n’erano solo 2 per mille abitanti, rispetto ai 2,6 degli Usa e ai 4,9 dell’Unione Europea); pochi infermieri (2,7 per mille, rispetto ai 15,7 degli Usa e ai 9,1 dell’Ue); e pochi posti letto nelle terapie intensive (3,6 per 100 mila abitanti rispetto ai 25,8 degli Usa e agli 11,5 dell’Ue). Nel 2019 la Cina ha speso 535$ pro capite per la sanità, a confronto dei quasi 12.000$ degli Usa e 3.500$ dell’Europa.

La scarsità di risorse mediche fa sì che nel sistema sanitario prosperino la corruzione e gli approfittatori. Per sopperire alla mancanza di veri servizi medici, la burocrazia promuove apertamente la medicina tradizionale, specialmente nelle regioni rurali. Nella terra del “socialismo con caratteristiche cinesi”, cure mediche adeguate sono riservate a quei capitalisti e burocrati privilegiati che possono permettersele, mentre i poveri spesso muoiono semplicemente per malattie curabili.

Oltre ad aver devastato il sistema sanitario, le riforme di mercato hanno anche privatizzato gli immobili nelle città, che sono controllati da aziende parassitarie la cui unica ragione di esistenza è la speculazione, come si è visto recentemente col crollo dell’Evergrande Group. Per molti lavoratori che vivono nelle città, i prezzi delle case sono inaccessibili e costringono la gente a vivere in condizioni di sovraffollamento insalubri, che necessariamente facilitano la diffusione del Covid-19 e di altre malattie.

L’altro fattore che ha portato alla diffusione del Covid-19 e che incide sulla salute dei lavoratori è il luogo di lavoro. Un aspetto centrale delle riforme di mercato è stata l’apertura della Cina agli investimenti esteri e lo sviluppo deliberato, incoraggiato dal Pcc, di una classe capitalista interna. Tra le principali conseguenze di questa politica vi è stato il passaggio di centinaia di milioni di contadini tra le fila del proletariato. Sebbene si tratti di uno sviluppo storicamente progressivo, questi operai sono un gigantesco bacino di manodopera a basso prezzo per le aziende capitaliste.

In Cina sono diffuse condizioni di lavoro brutali, come si vede nel crudele sistema “996” di settimane lavorative di 72 ore. L’ascesa senza precedenti della Cina è stata alimentata dal super sfruttamento degli operai. Nemmeno le imprese di Stato sono state risparmiate da queste brutali condizioni di lavoro. Molte aziende funzionano in base ad un sistema di lavoro quasi militare, approvato e implementato dai sindacati e dai comitati aziendali di partito del Pcc; un sistema in cui, non serve dirlo, gli operai non hanno voce in capitolo riguardo alle condizioni di salute e sicurezza, né sulle condizioni di lavoro più in generale. La disoccupazione e i senzatetto sono una piaga comune nella Repubblica popolare. L’inquinamento dell’aria, provocato dalla malagestione della burocrazia e dal saccheggio sfrenato dei capitalisti, è diventato un problema di proporzioni tali che nelle grandi città l’incidenza delle malattie respiratorie è molto più alta che nella maggior parte degli altri Paesi, e ciò espone gran parte della popolazione ad un rischio maggiore di complicazioni legate al Covid-19.

In questa polveriera si è accesa la scintilla del Covid-19. La disputa sulle origini del virus è ancora accesa. La burocrazia sostiene in modo irremovibile che la teoria della “fuoriuscita da un laboratorio” è solo menzogna e teoria del complotto. Ergendosi ad avvocato difensore della burocrazia, l’Internationalist Group (Ig) ha scritto un lungo articolo contro questa teoria, insinuando che chiunque metta in dubbio la versione della burocrazia attacca la Cina (“U.S. Big Lie Over Wuhan is War Propaganda”, internationalist.org, dicembre 2021). Non vi è un consenso scientifico sulle origini del Covid-19. Ma ammettiamo pure che sia giusta la teoria degli Ig e del Pcc secondo cui il virus ha avuto origine nel mercato di selvaggina di Wuhan (che in effetti è la più probabile) resta ugualmente un atto d’accusa contro la burocrazia! La mancanza d’igiene e di controlli, l’introduzione di animali selvatici in aree sovrappopolate hanno già provocato delle epidemie in passato, come la Sars nel 2002. L’epidemia del Covid-19 non è stata un “atto divino”, poteva essere assolutamente prevenuta, cominciando ad esempio col chiudere i mercati di selvaggina che vendono pipistrelli vivi nelle grandi città.

Il Pcc e i suoi avvocati spargono la menzogna secondo cui i loro lockdown e le loro politiche sono le migliori, l’unica soluzione per contrastare la pandemia. La verità è che l’attuale crisi economica, sociale e sanitaria è in gran parte il risultato delle politiche della burocrazia.

Come affrontare le cause sociali della pandemia

La misura più immediata per affrontare le cause sociali alla base della crisi è ridurre drasticamente le diseguaglianze all’interno della Cina e redistribuire le risorse in modo da migliorare le condizioni di vita. Ad esempio, liquidare la classe capitalista e confiscare la ricchezza della burocrazia potrebbe finanziare enormi miglioramenti nel sistema sanitario, soprattutto nelle regioni rurali, con l’obiettivo a breve termine di fornire assistenza sanitaria gratuita della massima qualità possibile su basi egualitarie. Le condizioni di vita possono essere migliorate con la redistribuzione immediata del patrimonio abitativo in base alle esigenze sociali, privilegiando gli operai anziché i burocrati ammanicati. Per rendere sicuri i luoghi di lavoro bisogna che gli operai controllino salute e la sicurezza. Ma tutte queste misure elementari e basilari cozzano direttamente con la burocrazia. Non solo perché significano l’esplicito ripudio di decenni di politiche fallimentari. Soprattutto perché vanno in senso opposto agli interessi della burocrazia, la cui intera esistenza si basa sul tentativo di assicurarsi privilegi materiali a spese della classe operaia e dei contadini. Inoltre molti singoli burocrati sono imparentati con i capitalisti, quando non sono capitalisti essi stessi.

Redistribuire le risorse esistenti può dare un sollievo immediato, ma l’unica soluzione per strappare la Cina dall’arretratezza materiale è l’estensione internazionale della rivoluzione socialista, specialmente nei Paesi imperialisti. La transizione al socialismo può essere garantita solo con un’economia pianificata internazionale, da cui sia stata rimossa la minaccia dell’imperialismo e il cui sviluppo si fondi sui livelli tecnologici e di produttività più elevati, che oggi sono monopolizzati dai Paesi imperialisti più potenti. Una prospettiva che si può realizzare solo con la mobilitazione rivoluzionaria del proletariato in Cina e a livello internazionale, una prospettiva antitetica a quella della burocrazia stalinista, perché scatenerebbe delle forze che porterebbero al suo rovesciamento in quanto casta privilegiata. Ecco perché il marchio di fabbrica dello stalinismo è sempre stato il programma della costruzione del “socialismo in un Paese solo”, che va a braccetto col dogma per cui “la Cina non esporta la rivoluzione”.

Questo programma antimarxista riflette la posizione e gli interessi della burocrazia ed è stato esplicitamente concepito per cercare la pace con l’imperialismo. Limitare la costruzione del socialismo all’interno dei confini prestabiliti di una nazione significa promettere alle potenze imperialiste che lo Stato operaio non costituirà una minaccia all’ordinamento capitalista internazionale. Questo programma ha portato allo strangolamento delle rivoluzioni cinese (1927), tedesca (1933), francese (1936 e 1968), spagnola (1937) indonesiana (1965) ed altre ancora. Come ha spiegato Trotsky riguardo all’Urss:

“Per la borghesia, sia fascista che democratica, le imprese controrivoluzionarie isolate di Stalin non bastano; è necessaria una controrivoluzione completa nei rapporti di proprietà e l’apertura del mercato russo. In assenza di ciò, la borghesia considera che lo Stato sovietico le sia ostile. E ha ragione”. (“Uno Stato né operaio né borghese?”, novembre 1937)

Questo vale assolutamente anche per la Cina ed è la ragione essenziale del rilancio dell’attacco imperialista alla Rpc. Per quanto la burocrazia del Pcc si sforzi di apparire “moderata” e “affidabile”; per quanto reprima la classe operaia cinese, agli occhi della borghesia internazionale porterà sempre lo stigma della rivoluzione sociale. Lungi dal difendere le conquiste della Rivoluzione cinese, il Pcc rifiuta l’unica strada che ne consentirebbe davvero la difesa: l’estensione internazionale della rivoluzione. Questo caposaldo del trotskismo è stato confermato indiscutibilmente, benché in negativo, dalla controrivoluzione che ha distrutto l’Unione Sovietica nel 1991-92. Anche in Cina, o il dominio burocratico del Pcc verrà spazzato via e sostituito da una direzione rivoluzionaria, o sarà la controrivoluzione a portare un nuovo “secolo di umiliazione”.

La risposta del Pcc

Il Pcc e i suoi avvocati cantano le lodi dell’approccio “Zero Covid dinamico” del Pcc. Ecco uno dei numerosi esempi che si trovano nelle pubblicazioni del Pcc:

“Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha affermato durante la consueta conferenza stampa del venerdì, che la ragione per cui la Cina ha adottato l’approccio Zero Covid dinamico è perché ‘per noi prima di tutto vengono la vita e la salute di 1,4 miliardi di persone. È una prova della filosofia di governo del Pcc e del governo cinese, che consiste nel mettere prima di tutto la protezione del nostro popolo e della sua vita’”. (Global Times, 19 giugno 2022)

I criteri in base al quale il Pcc vanta i “successi” del partito, sono il basso tasso di mortalità, l’eliminazione del virus nei confini cinesi e la continua crescita economica. Se ci si basa su di un approccio che consiste nello spuntare ciascuna di queste caselle, in effetti il Pcc ha fatto grandi cose.

Ma non è questo il modo in cui i rivoluzionari valutano il successo o il fallimento di uno Stato operaio. In risposta alla burocrazia stalinista, che si vantava dell’industrializzazione dell’Urss e dell’effettiva liquidazione dei kulaki (contadini ricchi), Trotsky spiegò:

“Non c’è nessun governo al mondo che tenga a un tal punto nelle sue mani i destini del Paese. I successi e gli insuccessi di un capitalista dipendono in larghissima misura, talvolta anche in misura decisiva, dalle sue qualità personali. Mutatis mutandis, il governo sovietico si è posto in rapporto all’economia nel suo insieme nella posizione del capitalista in rapporto ad un’azienda isolata. La centralizzazione dell’economia fa del potere statale un fattore di enorme importanza. Ma è per questo che la politica del governo può essere giudicata non sulla base delle nude cifre della statistica, ma secondo il ruolo specifico della previsione cosciente e della direzione pianificata nell’acquisizione dei risultati”. (La rivoluzione tradita, 1936 – nostra sottolineatura)

Pesata sulla scala della “previsione consapevole e della direzione pianificata”, la risposta del Pcc alla pandemia è un fallimento ad ogni livello. Come abbiamo spiegato, le politiche attuate dai governi del Pcc che si sono succeduti, hanno aumentato fortemente il rischio dell’emergere di nuovi virus pericolosi, della loro rapida diffusione a livelli epidemici e del collasso del sistema sanitario. Da quando è scoppiata l’epidemia, le azioni del Pcc hanno esacerbato la crisi ad ogni passo.

La sua reazione immediata allo scoppio dell’epidemia di Covid-19 a Wuhan, come ampiamente riconosciuto (anche dall’articolo di Workers Vanguard a sostegno del Pcc) è consistita in insabbiamenti, smentite e repressione di coloro che avevano dato l’allarme.1 Quando è diventato evidente che il virus minacciava una crisi sociale di vasta portata, con gli ospedali di Wuhan che traboccavano e un crescente malcontento tra la popolazione, il Pcc ha drasticamente cambiato atteggiamento, introducendo misure draconiane e mobilitando enormi risorse per soffocare il focolaio.

Le misure della burocrazia sono riuscite effettivamente a fermare (per un certo lasso di tempo) la propagazione del virus. Ma non sono state dettate da un impegno morale a “salvare il popolo”, quanto dall’esigenza di sopprimere le contraddizioni sociali portate alla luce ed esacerbate dal virus. Il Covid-19 ha reso più brucianti le necessità sociali ed economiche del proletariato: un miglioramento dell’assistenza sanitaria, degli alloggi e delle condizioni di lavoro. Ma questi bisogni si scontrano con la realtà della Cina, uno Stato operaio isolato, afflitto dalla scarsità, dal burocratismo, dalla diseguaglianza e da un regime politico parassitario.

Il compito che si poneva alla classe operaia consisteva nel legare la lotta immediata contro la minaccia rappresentata dal Covid-19 alla lotta per risolvere le condizioni sociali alla base della crisi. Per la burocrazia, c’era in gioco la necessità di fermare l’epidemia per mantenere la stabilità sociale, garantire il controllo politico del Pcc sulla risposta al Covid-19 e soprattutto schiacciare ogni aspirazione sociale della classe operaia che potesse mettere in discussione il suo potere. Queste erano e sono ancora le considerazioni politiche che guidano la risposta della burocrazia ai focolai di Covid-19. L’unico elemento nuovo è che ormai la burocrazia si è talmente impegnata nella politica “Zero Covid dinamico”, per provare la “superiorità” e la “onniscienza” del Pcc guidato da Xi Jinping, da non potersi permettere di fare retromarcia senza discreditare totalmente il governo. Detto questo, man mano che si accumulano le conseguenze disastrose della sua politica, la burocrazia potrebbe benissimo vedersi costretta a fare dietro-front, come è tipico degli zig-zag stalinisti.

Il Pcc sostiene che le sue politiche servono a proteggere la popolazione. Ma allora perché la gente è stata rinchiusa in casa contro la sua volontà, sottoposta alla sorveglianza di droni, robot e comitati di quartiere? Perché quando qualcuno fa una critica, si lamenta o offre un suggerimento, paga con la censura più totale e qualche volta con la galera? È per servire il popolo che gli operai vengono chiusi nelle fabbriche e gli si impedisce di rientrare a casa? Se davvero lo “Zero Covid dinamico” deve “servire il popolo”, perché viene usato contro il popolo?

La risposta è semplice: l’intera esistenza della burocrazia del Pcc si basa sull’oppressione del popolo. Il modo in cui ha accumulato privilegi è un furto puro e semplice, un abuso di potere che insulta tutti i principi socialisti. Siccome il suo potere si basa sul controllo politico assoluto dell’apparato di governo, qualsiasi espressione indipendente dei bisogni e degli interessi degli operai rappresenta inevitabilmente una sfida alla legittimità della burocrazia stalinista. Non può lasciare che gli operai dicano la loro, perché le prime parole che direbbero sarebbero di condanna della diseguaglianza, del malgoverno della burocrazia e della repressione politica. Per garantirsi la sopravvivenza, la burocrazia sopprime ogni senso di iniziativa, ogni pensiero critico e ogni contributo costruttivo delle masse operaie.

È vero: il Pcc è riuscito a tenere bassissimo il tasso di mortalità. Ma dietro questa statistica si nasconde il vero orrore causato dalle politiche della burocrazia. Si nascondono le centinaia di milioni di persone rinchiuse in casa per settimane senza accesso adeguato ai generi alimentari, alle medicine e ad altri articoli di prima necessità. Gli ospedali stracolmi, che rifiutavano di ammettere i pazienti e con il personale spinto all’esaurimento. La reclusione in centri di quarantena kafkiani, in cui le famiglie venivano separate, i figli dai genitori. Gli operai incatenati alle macchine e rinchiusi nelle fabbriche. La disoccupazione e la devastazione delle piccole imprese. La censura universale e l’arresto di chiunque mettesse in discussione tutto questo. Il tutto in nome della costruzione del “socialismo con caratteristiche cinesi”, una cosa che può solo contribuire a screditare il socialismo agli occhi degli operai e dei poveri e aiutare il campo della controrivoluzione.

La risposta trotskista

Contrariamente alle menzogne del Pcc, è assolutamente possibile proteggere la salute della popolazione e difendere la Repubblica popolare senza i metodi brutali e antiproletari imposti dalla burocrazia. La lotta al Covid-19 è necessariamente un compito politico. Il Pcc ha mobilitato la popolazione dietro al nazionalismo cinese e al sostegno all’infallibilità di Xi Jinping. Per i trotskisti, la lotta al Covid-19 inizia all’insegna delle rivoluzioni socialiste nei Paesi capitalisti, della difesa incondizionata della Cina dalla controrivoluzione e della rivoluzione politica per cacciare i burocrati stalinisti. Ecco per cosa devono battersi i veri comunisti oggi in Cina:

Abbasso i lockdown! Vaccinazione obbligatoria immediata! La burocrazia del Pcc è pronta a rinchiudere milioni di persone per mesi con cicli infiniti di tamponi, ma non prende nemmeno la misura essenziale di vaccinare l’intera popolazione. Quando a Shanghai è stato imposto un duro lockdown di più di due mesi, il 38 percento degli ultrasessantenni non aveva completato il ciclo vaccinale.

Controllo operaio su sicurezza e produzione! Devono essere gli operai a decidere cosa è sicuro e come devono funzionare le fabbriche, non dei burocrati incravattati o le sanguisughe capitaliste. Per sindacati liberi dal controllo burocratico e dediti alla difesa della proprietà collettivizzata!

Revisione da cima a fondo dell’economia pianificata nell’interesse dei produttori e dei consumatori! Bisogna garantire l’introduzione dell’assistenza medica e dell’educazione gratuite per tutti, oltre che di alloggi di qualità per i lavoratori! Abbasso il sistema dell’hukou!

Espropriare la classe capitalista interna! Queste sanguisughe, allevate dalla burocrazia del Pcc, sono l’embrione della controrivoluzione capitalista. Farla finita con la politica di “un Paese, due sistemi” espropriando i tycoon di Hong Kong!

Operai di tutto il mondo unitevi! L’alleato della classe operaia cinese è il proletariato internazionale, specialmente nei centri imperialisti: gli Usa, la Germania e il Giappone. La politica estera reazionaria della burocrazia, fatta di riconciliazione e pacificazione con gli imperialisti, dev’essere sostituita dalla politica dell’internazionalismo proletario. Pubblicare tutta la corrispondenza diplomatica di Pechino. Abbasso la diplomazia segreta!

Via la burocrazia stalinista! Per un partito leninista egualitario, parte di una Quarta internazionale riforgiata! La strada da seguire per gli operai e i contadini cinesi è quella di Lenin e Trotsky, non quella di Mao e Stalin. Questo significa: democrazia sovietica e internazionalismo rivoluzionario, sul modello della grande Rivoluzione d’Ottobre del 1917!

[Tradotto da Spartacist, ed. inglese, n.67 agosto 2022]


1. Aspettiamo impazienti l’articolo promesso dall’Ig nel dicembre 2021 sulla “fuga dal laboratorio”, in cui pare che smentiranno la “grande menzogna” per cui “Pechino avrebbe inizialmente cercato di nascondere e insabbiare gli errori e di sopprimere le informazioni sulla pandemia”.